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martedì 4 novembre 2025

Ritratto di Gentildonna - Contessa Marianna De Marinis 1924 - Vincenzo MORANI

 ritratto di gentildonna

La Guerrieri cita genericamente i dipinti del Morani indicando l'acquisizione con il legato della contessa Marianna De Marinis (1924) comprendente anche circa 2000 volumi appartenenti al padre della donatrice, Cav. Alessandro, e al fratello. Presidente Donatantonio. Al legato De Marinis, oltre ad altri ritratti di famiglia; fal legato faceva anche parte un altro quadro del Morani, ora nello studio della Direttore della Biblioteca La contessa Marianna De Marinis (cognome da nubile De Fusco) è morta il 9 febbraio 1924 ed è nota per il suo impegno sociale e caritatevole a Pompei. Fu la moglie di Bartolo Longo, con cui condivideva la missione di aiutare il prossimo e fece parte del Terzo Ordine del Sacro Cuore. Nel 1924, dopo la sua morte, si svolsero le onoranze funebri e fu pronunciato un discorso in sua memoria da parte di Mons. Edoardo Alberto Fabozzi, che ne evidenziò il ruolo di "strumento nelle mani di Dio" per opere di grande importanza.


La studiosa Guerrieri menziona i dipinti di Morani solo in modo generico, ricordando che entrarono nelle collezioni grazie al legato della contessa Marianna De Marinis, datato 1924. La donazione comprendeva non solo le opere pittoriche, ma anche un ricco fondo librario di circa duemila volumi appartenuti al padre della contessa, il cavaliere Alessandro, e al fratello. All’epoca della donazione, la presidenza era affidata a Donatantonio.

Oltre ai ritratti di famiglia, il legato De Marinis includeva anche un altro dipinto di Morani, oggi conservato nello studio della Direttrice della Biblioteca.

Dati essenziali (catalogici). Opera attribuita a Vincenzo Morani, firmata e datata in basso a sinistra “V. Morani / 8bre 1859”; tecnica: olio su tela; inventario del Palazzo Reale di Napoli (inv. 617 b.n.). La scheda catalografica riporta l’acquisizione fra le opere entrate con il legato della contessa Marianna De Marinis (1924).

Davanti a noi si staglia la figura di una «gentildonna»: un ritratto che, pur nella compostezza tipica dell’Ottocento accademico, suggerisce delicatezza e misura. Morani, ritrattista esperto, prediligeva una resa pulita del volto — linee morbide e un carico cromatico attento al naturale — quindi ci si può aspettare un volto reso con cura del colorito e dei chiaro-scuri, enfatizzati da un fondo scuro che mette in risalto il volto e la fisionomia della donna. Il formato e la presenza della firma datata («8bre 1859») raccontano anche la cura documentaria dell’artista nel datare i propri ritratti, pratica non rara fra i ritrattisti accademici dell’epoca.

Il volto e l’espressione

Il volto — probabilmente rappresentato a mezza figura o mezzo busto, secondo l’uso ritrattistico dell’autore — trasmette una compostezza riservata piuttosto che un atteggiamento fortemente psicologizzato. L’attenzione al modellato della pelle, alla delicatezza delle linee del naso e della bocca e alla resa degli occhi erano elementi qualificanti nei ritratti di Morani; per questo motivo lo sguardo della sitter appare sia attento che misurato, invitando lo spettatore a una lettura di elegante discrezione.

Abito, gioielli e cornice sociale (interpretazione)

Anche se la documentazione disponibile non sempre descrive dettagli puntuali di stoffe e ornamenti per questo specifico dipinto, i «ritratti di gentildonna» ottocenteschi sono solitamente pensati per comunicare rango e gusto attraverso il taglio dell’abito, pizzi, piccoli gioielli e un’impostazione composta della mano — elementi che qui vanno intesi come probabili segnali dell’appartenenza sociale della donna ritratta (e coerenti con la provenienza da una famiglia nobiliare come i De Marinis). Questa lettura è coerente con la funzione dei ritratti di famiglia: testimoniare memoria e status.


Contesto storico e artistico

Vincenzo Morani, pittore formatosi in ambiente accademico con inclinazioni verso un linguaggio purista (avvicinato anche alla sensibilità nazarena nelle soluzioni figurative), fu apprezzato sia per i soggetti sacri che per i ritratti. La critica contemporanea sottolineò spesso la “severità dello stile” unita a una finezza nel disegno e nella resa del panneggio e del colorito; ciò spiega l’equilibrio formale che si percepisce nella sua ritrattistica.

Provenienza e valore documentario

Il dipinto figura nelle raccolte dello Stato (Palazzo Reale, Napoli) e la sua scheda catalografica ricorda che molte opere di Morani entrarono nelle collezioni in seguito al legato della contessa Marianna De Marinis (1924), complesso donativo che includeva anche un vasto fondo librario. Questa connessione conferisce al quadro non solo valore artistico ma anche valore documentario per la storia della committenza e del collezionismo locali.

@ Carmelo PULEIO 


L’adolescente di bronzo – l’anima giovane scolpita da Francesco Jerace

 L’adolescente di bronzo – l’anima giovane scolpita da Francesco Jerace

Nel silenzio lucente del bronzo, un volto emerge con la delicatezza di un ricordo: un adolescente, sospeso tra l’infanzia e l’età adulta, catturato per sempre dalle mani sapienti di Francesco Jerace. Lo sguardo, assorto e malinconico, sembra interrogare il mondo, come se nel metallo fosse imprigionato il momento fragile e irripetibile del passaggio verso la vita.



Jerace, figlio della luminosa scuola napoletana di fine Ottocento, è maestro nel coniugare la forza della materia con la grazia dell’emozione. In questo busto — piccolo solo nelle dimensioni — la sua arte raggiunge un’intensità intima e struggente. Il volto del giovane, levigato con precisione quasi pittorica, contrasta con la vivacità dei riccioli che catturano la luce, mentre la superficie del bronzo, calda e viva, trasmette una vibrazione umana, come se respirasse ancora.

L’“Adolescente” non è solo una figura, ma un sentimento: rappresenta la purezza, l’attesa, la dolce incertezza del futuro. Jerace non idealizza, non racconta un mito o un eroe; scolpisce invece l’anonimo, il quotidiano, e lo eleva alla dignità dell’eterno. È un canto silenzioso alla giovinezza, a quella stagione interiore che tutti, prima o poi, attraversiamo e rimpiangiamo.

Osservando il busto, si avverte l’eco di un tempo in cui l’arte cercava la verità nel volto umano. E in quella verità, Jerace ha trovato la sua poesia: la bellezza nascosta nell’attimo in cui l’anima fiorisce.

@ Carmelo PULEIO

Il busto di Sobański – Francesco Jerace, 1899

 Il busto di Sobański – Francesco Jerace, 1899

Nel silenzio delle sale del Castel Nuovo di Napoli, tra pietre antiche e luce che filtra dal mare, si erge il busto di Władysław Sobański, scolpito nel 1899 da Francesco Jerace, uno dei più raffinati scultori italiani di fine Ottocento.



L’opera, modellata in gesso con un’eleganza quasi musicale, ritrae il nobile polacco con una compostezza che rivela tanto la fierezza quanto la malinconia di un uomo d’altri tempi. Jerace, maestro nel cogliere l’anima dietro i tratti, plasma il volto con linee morbide e uno sguardo assorto, sospeso tra orgoglio e pensiero.

La superficie, levigata ma vibrante, racconta il dialogo intimo tra artista e modello: non solo un ritratto, ma un incontro di culture, quella mediterranea e quella mitteleuropea, unite nella quieta dignità del marmo.

Posto oggi nel cuore del Maschio Angioino, il busto di Sobański continua a osservare Napoli con occhi lontani, testimone discreto di un’epoca in cui l’arte era linguaggio universale e la memoria prendeva forma nella pietra.

@ Carmelo PULEIO 

lunedì 3 novembre 2025

Busto maschile datato 1928 - Marino Tigani

 Nel silenzio di un laboratorio romano del 1928, Marino Tigani modella un volto.









Il gesso prende vita sotto le sue mani, diventando un “Busto maschile” dalle linee decise ma dal respiro umano. Non è solo un esercizio di forma: in quelle proporzioni armoniose, nei tratti appena accennati delle labbra e nello sguardo rivolto altrove, si avverte la ricerca di qualcosa di più profondo — forse un riflesso dell’animo stesso dell’artista.

Sulla base, una scritta discreta: “Omaggio affettuoso”. Parole semplici, che raccontano un gesto d’amicizia, di riconoscenza, o forse d’amore.
Il busto, alto 62 centimetri, largo 45, profondo 30, conserva ancora oggi l’intimità di quel dono, come se custodisse il calore di chi lo ha creato.

Marino Tigani, nato a Polistena nel 1902 e scomparso prematuramente a Roma nel 1941, appartiene a quella generazione di artisti che cercava equilibrio tra la tradizione classica e le inquietudini del moderno. Questo busto, in gesso, porta con sé proprio quella tensione: la forza del tempo e la fragilità della materia, unite in un solo, silenzioso volto.

@ Carmelo PULEIO

Zampognari Calabresi - terracotta di Marino Tigani

Tra gli artisti che hanno dato lustro alla città di Polistena, Marino TIGANI occupa un posto di rilievo per la sensibilità e la forza espressiva che caratterizzano la sua produzione scultorea.



Nato nel 1902, si trasferì giovanissimo a Roma, dove affinò la propria arte immerso nel fervente ambiente culturale della Capitale Italiana tra gli anni 20 e 30.

Una delle opere sue sono :"ZAMPOGNARI CALABRESI" un gruppo scultoreo in terracotta, di straordinaria intensità e realismo. Con gesti semplici e autentici, Tigani riesce a restituire l'anima della sua terra: la Calabria contadina e pastorale, fatta di suoni, tradizioni e volti scolpiti dal tempo.

L'Opera, oggi conservata in una collezione privata di proprietà non identificata, resta una testimonianza preziosa dell'arte di Tigani e della capacità di fondere la cultura popolare calabrese con il linguaggio plastico del Novecento.

Pur scomparso prematuro all'età di soli 38 anni, Marino TIGANI lascia una eredità artistica di grande valore, che merita di essere riscoperta e valorizzata come parte integrante del patrimonio culturale di Polistena e della Calabria intera. 

@ Carmelo PULEIO 





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