mercoledì 22 ottobre 2025

Menandro e Händel – Due anime del genio artistico ottocentesco - Domenico MORANI

 Menandro e Händel – Due anime del genio artistico ottocentesco

Domenico Morani e le sculture per il Teatro di Villa Torlonia

Nel cuore di Roma, nel raffinato Teatro di Villa Torlonia, si conserva un ciclo di sculture che racconta l’amore dell’Ottocento per l’arte, la bellezza e l’ideale classico. Tra queste, spiccano due opere straordinarie: Menandro e Hendel (Händel), realizzate nel 1843 dallo scultore Domenico Morani (Polistena, 1812 – Roma, 1859).





Un giovane scultore calabrese nella Roma purista

Domenico Morani, figlio dello scultore Fortunato Morani e fratello del ritrattista Vincenzo Morani, apparteneva a una dinastia di artisti provenienti da Polistena, in Calabria. Dopo gli anni di formazione nella bottega paterna, Morani si trasferì a Napoli, poi a Roma, dove divenne allievo di Pietro Tenerani, uno dei massimi esponenti del purismo romano.

Il giovane scultore assimilò da Tenerani il gusto per la compostezza classica, la purezza delle linee e il culto della bellezza ideale, ma sviluppò presto una voce personale, più viva e sensibile alla psicologia dei soggetti.


Le sculture per Villa Torlonia

Nel 1843, Morani ricevette una delle sue prime commissioni importanti: la realizzazione di due statue in marmo raffiguranti Menandro, il celebre commediografo greco, e Hendel, il compositore barocco George Frideric Händel.
Le opere erano destinate alla decorazione del Teatro di Villa Torlonia, residenza della potente famiglia Torlonia, che proprio in quegli anni stava arricchendo la villa di sculture, stucchi e affreschi di gusto classico.

I due personaggi — uno antico, l’altro moderno — incarnavano l’ideale universale dell’arte: la poesia e la musica, la drammaturgia e l’armonia, un dialogo tra Grecia e Europa moderna che rifletteva l’eclettismo culturale dell’epoca.


Lo stile: tra ideale classico e sensibilità moderna

Nel Menandro, Morani propone una figura serena e contemplativa: il volto è assorto, i lineamenti equilibrati, la posa composta in un silenzio quasi sacro.
In Hendel, invece, lo scultore introduce un tono più dinamico: la figura appare più movimentata, con panneggi ricchi e un’espressione interiore intensa, segno di un artista che guarda oltre il rigore accademico.

Entrambe le statue sono scolpite in marmo bianco di Carrara, levigato con cura minuziosa, capace di catturare la luce e restituire una morbida luminosità. Si riconosce in esse la mano di un artista giovane ma già maturo, attento tanto alla perfezione formale quanto alla vibrazione spirituale dei soggetti.


Un preludio alla maturità artistica

Queste due opere segnano l’ingresso ufficiale di Domenico Morani nella scena artistica romana.
Pochi anni dopo, lo scultore si dedicherà a lavori di grande intensità: il monumento funebre di Maria Costa nella chiesa di San Francesco a Ripa, il celebre Ritratto di un cavaliere di Malta (1848-49), e l’angelo nella Basilica dei Santi XII Apostoli (1859), la sua ultima opera nota.

In Menandro e Hendel si intravede già il Morani ritrattista raffinato e sensibile, capace di unire la compostezza neoclassica alla vitalità romantica che animava la Roma dell’Ottocento.

Le due statue di Domenico MoraniMenandro e Handel (1843) – si trovano ai lati del palcoscenico, leggermente arretrate rispetto al boccascena, una a sinistra e una a destra.


@ Carmelo PULEIO

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