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giovedì 11 dicembre 2025

Volto di donna - formella in bronzo - Giuseppe RENDA

 Il fascino senza tempo del “Volto di donna” di Giuseppe Renda

Una formella in bronzo che racconta la grazia femminile tra Ottocento e Novecento

Nel panorama della scultura italiana tra fine Ottocento e inizi Novecento, la figura di Giuseppe Renda rappresenta una voce raffinata, capace di unire sensibilità naturalistica e gusto decorativo. Una testimonianza significativa di questa poetica è la formella in bronzo a patina scura intitolata “Volto di donna”, un’opera che si distingue per eleganza e qualità esecutiva.




Una tecnica antica per una bellezza moderna

La formella, dalle dimensioni di 35 × 32 cm, è realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, uno dei metodi più antichi e pregiati nella lavorazione del bronzo. Questa tecnica permette una definizione estremamente fine dei dettagli, dando vita a superfici morbide e passaggi tonali profondi, enfatizzati dalla patina scura scelta dall’artista.

Il rilievo raffigura una figura muliebre, un volto di donna che emerge con delicatezza dalla lastra metallica. Il modellato è morbido, quasi tattile: le linee del profilo, la curva del collo, l’espressione assorta, compongono un ritratto idealizzato ma al tempo stesso intensamente umano.




Tra Ottocento e Novecento: un gusto in trasformazione

L’opera si colloca in un periodo storico caratterizzato da un interessante dialogo tra classicismo e modernità. La scultura decorativa viveva una nuova fortuna, trovando spazio nelle case borghesi, nei salotti e negli studi. In questo contesto, opere come il Volto di donna di Renda erano apprezzate sia come oggetti d’arte sia come elementi d’arredo raffinati.

Il linguaggio dell’artista rispecchia proprio questo clima culturale: da un lato richiama la tradizione del ritratto idealizzato, dall’altro si percepisce una ricerca più moderna, che punta alla resa psicologica e all’armonia delle forme.

La firma dell’artista come garanzia di autenticità

La formella è firmata, un dettaglio importante che ne sottolinea la paternità certa e ne accresce il valore collezionistico. Renda dimostra qui la sua abilità non solo tecnica, ma anche stilistica: ogni elemento è calibrato, dalla profondità del rilievo alla scelta della patina, creando un insieme equilibrato e armonioso.

Perché quest’opera affascina ancora oggi

Il Volto di donna è un’opera che parla un linguaggio universale: la bellezza. Non una bellezza stereotipata, ma una bellezza silenziosa, dignitosa, scolpita nel bronzo con una sensibilità quasi pittorica.
La sua forza sta proprio nella capacità di unire:

  • tradizione artigianale e sensibilità moderna;

  • matericità del bronzo e delicatezza del soggetto;

  • valore storico e immediata piacevolezza estetica.

Oggetti come questo non sono solo reperti d’epoca, ma frammenti di un gusto e di un modo di guardare il mondo: testimonianze preziose di un’arte che non teme il trascorrere del tempo.

@ Carmelo PULEIO









lunedì 10 novembre 2025

Il “Ritratto di Emilia Titoni” (1869) di Vincenzo Morani

Il “Ritratto di Emilia Titoni” (1869) di Vincenzo Morani: eleganza borghese e introspezione psicologica nella pittura postunitaria

Il Ritratto di Emilia Titoni (1869) costituisce una delle prove più raffinate del pittore Vincenzo Morani (Polistena, 1809 – Roma, 1870), artista calabrese formatosi nell’ambiente accademico napoletano e successivamente attivo nella capitale pontificia. Figura ancora oggi poco studiata, Morani seppe distinguersi nel panorama ottocentesco per la sua aderenza al realismo accademico mitigato da una sensibilità intimista, particolarmente evidente nella sua produzione ritrattistica.



L’opera raffigura una giovane donna, Emilia Titoni, ritratta con compostezza e grazia, mentre regge un mazzo di fiori — elemento iconografico che, nel linguaggio simbolico del tempo, allude alla purezza, alla delicatezza e alla transitorietà della giovinezza. La resa luminosa e l’attenzione minuziosa ai dettagli dell’abito e dell’incarnato rivelano la volontà dell’artista di coniugare fedeltà fisionomica e ideale di decoro borghese.

Su Emilia Titoni non esistono dati biografici certi: è verosimile che appartenesse a un ambiente borghese o aristocratico romano o napoletano, e che il ritratto fosse una commissione privata destinata alla memoria familiare. Tale pratica era consueta nella seconda metà dell’Ottocento, quando il ritratto pittorico, pur insidiato dalla nascente fotografia, manteneva un ruolo di rappresentanza e di distinzione sociale.

In un’Italia da poco unificata, segnata da mutamenti politici e da un rinnovato interesse per la costruzione di identità nazionali e familiari, il ritratto femminile assumeva anche un valore ideologico e morale: incarnava l’ideale domestico della donna virtuosa, educata e devota, pilastro dell’ordine sociale. Morani interpreta questi modelli con una sensibilità pittorica discreta ma penetrante, restituendo una figura che, pur radicata nella convenzione, lascia emergere un’intima dimensione psicologica.

Il Ritratto di Emilia Titoni si configura dunque come un documento estetico e sociale di grande interesse, nel quale si riflettono non solo le doti tecniche del pittore, ma anche le tensioni culturali dell’Italia postunitaria, sospesa tra modernità e tradizione.

@ Carmelo PULEIO 


martedì 4 novembre 2025

Ritratto di Gentildonna - Contessa Marianna De Marinis 1924 - Vincenzo MORANI

 ritratto di gentildonna

La Guerrieri cita genericamente i dipinti del Morani indicando l'acquisizione con il legato della contessa Marianna De Marinis (1924) comprendente anche circa 2000 volumi appartenenti al padre della donatrice, Cav. Alessandro, e al fratello. Presidente Donatantonio. Al legato De Marinis, oltre ad altri ritratti di famiglia; fal legato faceva anche parte un altro quadro del Morani, ora nello studio della Direttore della Biblioteca La contessa Marianna De Marinis (cognome da nubile De Fusco) è morta il 9 febbraio 1924 ed è nota per il suo impegno sociale e caritatevole a Pompei. Fu la moglie di Bartolo Longo, con cui condivideva la missione di aiutare il prossimo e fece parte del Terzo Ordine del Sacro Cuore. Nel 1924, dopo la sua morte, si svolsero le onoranze funebri e fu pronunciato un discorso in sua memoria da parte di Mons. Edoardo Alberto Fabozzi, che ne evidenziò il ruolo di "strumento nelle mani di Dio" per opere di grande importanza.


La studiosa Guerrieri menziona i dipinti di Morani solo in modo generico, ricordando che entrarono nelle collezioni grazie al legato della contessa Marianna De Marinis, datato 1924. La donazione comprendeva non solo le opere pittoriche, ma anche un ricco fondo librario di circa duemila volumi appartenuti al padre della contessa, il cavaliere Alessandro, e al fratello. All’epoca della donazione, la presidenza era affidata a Donatantonio.

Oltre ai ritratti di famiglia, il legato De Marinis includeva anche un altro dipinto di Morani, oggi conservato nello studio della Direttrice della Biblioteca.

Dati essenziali (catalogici). Opera attribuita a Vincenzo Morani, firmata e datata in basso a sinistra “V. Morani / 8bre 1859”; tecnica: olio su tela; inventario del Palazzo Reale di Napoli (inv. 617 b.n.). La scheda catalografica riporta l’acquisizione fra le opere entrate con il legato della contessa Marianna De Marinis (1924).

Davanti a noi si staglia la figura di una «gentildonna»: un ritratto che, pur nella compostezza tipica dell’Ottocento accademico, suggerisce delicatezza e misura. Morani, ritrattista esperto, prediligeva una resa pulita del volto — linee morbide e un carico cromatico attento al naturale — quindi ci si può aspettare un volto reso con cura del colorito e dei chiaro-scuri, enfatizzati da un fondo scuro che mette in risalto il volto e la fisionomia della donna. Il formato e la presenza della firma datata («8bre 1859») raccontano anche la cura documentaria dell’artista nel datare i propri ritratti, pratica non rara fra i ritrattisti accademici dell’epoca.

Il volto e l’espressione

Il volto — probabilmente rappresentato a mezza figura o mezzo busto, secondo l’uso ritrattistico dell’autore — trasmette una compostezza riservata piuttosto che un atteggiamento fortemente psicologizzato. L’attenzione al modellato della pelle, alla delicatezza delle linee del naso e della bocca e alla resa degli occhi erano elementi qualificanti nei ritratti di Morani; per questo motivo lo sguardo della sitter appare sia attento che misurato, invitando lo spettatore a una lettura di elegante discrezione.

Abito, gioielli e cornice sociale (interpretazione)

Anche se la documentazione disponibile non sempre descrive dettagli puntuali di stoffe e ornamenti per questo specifico dipinto, i «ritratti di gentildonna» ottocenteschi sono solitamente pensati per comunicare rango e gusto attraverso il taglio dell’abito, pizzi, piccoli gioielli e un’impostazione composta della mano — elementi che qui vanno intesi come probabili segnali dell’appartenenza sociale della donna ritratta (e coerenti con la provenienza da una famiglia nobiliare come i De Marinis). Questa lettura è coerente con la funzione dei ritratti di famiglia: testimoniare memoria e status.


Contesto storico e artistico

Vincenzo Morani, pittore formatosi in ambiente accademico con inclinazioni verso un linguaggio purista (avvicinato anche alla sensibilità nazarena nelle soluzioni figurative), fu apprezzato sia per i soggetti sacri che per i ritratti. La critica contemporanea sottolineò spesso la “severità dello stile” unita a una finezza nel disegno e nella resa del panneggio e del colorito; ciò spiega l’equilibrio formale che si percepisce nella sua ritrattistica.

Provenienza e valore documentario

Il dipinto figura nelle raccolte dello Stato (Palazzo Reale, Napoli) e la sua scheda catalografica ricorda che molte opere di Morani entrarono nelle collezioni in seguito al legato della contessa Marianna De Marinis (1924), complesso donativo che includeva anche un vasto fondo librario. Questa connessione conferisce al quadro non solo valore artistico ma anche valore documentario per la storia della committenza e del collezionismo locali.

@ Carmelo PULEIO 


L’adolescente di bronzo – l’anima giovane scolpita da Francesco Jerace

 L’adolescente di bronzo – l’anima giovane scolpita da Francesco Jerace

Nel silenzio lucente del bronzo, un volto emerge con la delicatezza di un ricordo: un adolescente, sospeso tra l’infanzia e l’età adulta, catturato per sempre dalle mani sapienti di Francesco Jerace. Lo sguardo, assorto e malinconico, sembra interrogare il mondo, come se nel metallo fosse imprigionato il momento fragile e irripetibile del passaggio verso la vita.



Jerace, figlio della luminosa scuola napoletana di fine Ottocento, è maestro nel coniugare la forza della materia con la grazia dell’emozione. In questo busto — piccolo solo nelle dimensioni — la sua arte raggiunge un’intensità intima e struggente. Il volto del giovane, levigato con precisione quasi pittorica, contrasta con la vivacità dei riccioli che catturano la luce, mentre la superficie del bronzo, calda e viva, trasmette una vibrazione umana, come se respirasse ancora.

L’“Adolescente” non è solo una figura, ma un sentimento: rappresenta la purezza, l’attesa, la dolce incertezza del futuro. Jerace non idealizza, non racconta un mito o un eroe; scolpisce invece l’anonimo, il quotidiano, e lo eleva alla dignità dell’eterno. È un canto silenzioso alla giovinezza, a quella stagione interiore che tutti, prima o poi, attraversiamo e rimpiangiamo.

Osservando il busto, si avverte l’eco di un tempo in cui l’arte cercava la verità nel volto umano. E in quella verità, Jerace ha trovato la sua poesia: la bellezza nascosta nell’attimo in cui l’anima fiorisce.

@ Carmelo PULEIO

Il busto di Sobański – Francesco Jerace, 1899

 Il busto di Sobański – Francesco Jerace, 1899

Nel silenzio delle sale del Castel Nuovo di Napoli, tra pietre antiche e luce che filtra dal mare, si erge il busto di Władysław Sobański, scolpito nel 1899 da Francesco Jerace, uno dei più raffinati scultori italiani di fine Ottocento.



L’opera, modellata in gesso con un’eleganza quasi musicale, ritrae il nobile polacco con una compostezza che rivela tanto la fierezza quanto la malinconia di un uomo d’altri tempi. Jerace, maestro nel cogliere l’anima dietro i tratti, plasma il volto con linee morbide e uno sguardo assorto, sospeso tra orgoglio e pensiero.

La superficie, levigata ma vibrante, racconta il dialogo intimo tra artista e modello: non solo un ritratto, ma un incontro di culture, quella mediterranea e quella mitteleuropea, unite nella quieta dignità del marmo.

Posto oggi nel cuore del Maschio Angioino, il busto di Sobański continua a osservare Napoli con occhi lontani, testimone discreto di un’epoca in cui l’arte era linguaggio universale e la memoria prendeva forma nella pietra.

@ Carmelo PULEIO 

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